Friday, April 21, 2006

Illuminismo e dialettica "negativa". The New World of Terrence Malick




L'ultimo film di Terrence Malick The New World è da considerarsi sicuramente il proseguimento, per quanto riguarda alcune tematiche trattate che spiegheremo di seguito, di The Thin Red Line. Nel precedente film infatti il misterioso regista americana non faceva che tessere l'intricata tela del rapporto tra natura e civiltà, mostrando visivamente (e non solo), con scene che rimarranno nella storia del cinema, lo scorrere tragico della guerra in un isola del Pacifico, in pieno contrasto con la serenità e la perfezione della natura e di chi lo stadio della società civile non lo ha raggiunto, o non intende farlo. Se sicuramente questo film poteva definirsi ispirato da un “sano” panteismo spinoziano, nel più recente The New World il rapporto natura-civiltà viene arricchito notevolmente di elementi di decisa derivazione dialettica (come sostiene Lorenzo Marras) e rousseauiana.
Ma andiamo con ordine. E' inutile ripetere brevemente l'intreccio che caratterizza la pellicola di Malick, la storia in Malick è “inutile” ma è l'inteccio natura-storia da considerarsi come l'unico protagonista. Se consideriamo il cinema come, prima di tutto, "visione", nel pieno e vero senso della parola, non rimarremo da Malick (che non usa inoltre luci artificiali): immagini che mozzano il fiato, inquadrature perfette, una perfezione formale da far rabbrividire, a partire dalla prima scena, in cui sembra di rivedere The Thin Red Line: ruscello e voce narrante che inneggia a “Madre Natura”. Ed il tema è subito svelato natura-civiltà-storia, progresso, individuo-comunità. La prima parte del film è decisamente ispirata al secondo discorso di Rousseau sull'origine della diseguaglianza tra gli uomini, con alcune importanti differenze. I nativi vivono in quella che Hegel avrebbe chiamato “compiutà comunità etica”, definizione attribuita alla società greca dei tempi d'oro d'Atene, in cui gli individui non conoscono sentimenti morali “degeneratori” - invidia, superbia, gelosia - (ed è questo l'aspetto rousseauiano), ma vivono in un'armonia con la natura e con gli altri (nello stato di natura di Rousseau gli uomini sono invece soli), che abbaglia il capitano Smith, mandante e rappresentante dell'”evoluta” società civile. Stupende le scene, che ricordano il miglior Kubrick di 2001 Odissea nello Spazio, in cui i nativi odorano, osservano, sfiorano gli inglesi incontrati per la prima volta. E da questo punto in poi la storia, dialetticamente dispiegata, svolge il suo ruolo spingendo in avanti, e spazzando via quello che si lascia alle spalle, i personaggi, le loro vite, le loro coscienze, in un cambiamento continuo, che non è miglioramento, cioè quell'hegeliana elevazione della coscienza verso il sapere assoluto, ma è solo un proseguire necessario verso il futuro, scandito dalla dissoluzione e dallo spirito di sopravvivenza.
Si potrebbe pensare che Malick costruisca un banale contrasto tra nativi (stato di natura) e inglesi (società civile) evidenziando la negatività dei secondi rispetto ai primi, ma non è così. La trama e le idee messe in campo sono più complicate di quanto sembra. Difatti Pocahontas, la figlia del capo indiano spinge, aiuta gli inglesi (per amore di Smith, che ha vissuto l'esperienza totalizzante degli indiani) a sopravvivere, a “svilupparsi”. Questo gesto mostrerà nel film il suo lato autodistruttivo per la comunità indiana, per Pocahontas, ma assolutamente interno alla "necessità storica".
Allora come interpretare questo sviluppo? Il mio amico Lorenzo così lo commenta: “Per (ri)trovarsi infatti bisogna perdersi, ma (la storia) non può tornare indietro ad uno stadio inferiore: se tutto è divino allora l’apparentemente contraddittoria conciliazione di Pocahontas con quella che potrebbe apparire l’innaturale civiltà è anch’essa divina o, meglio ancora, naturale e rappresenta il necessario progresso della storia nel suo continuo alienarsi nel contrario e nella necessaria conciliazione sublativa con esso. In una impostazione dialettico/evolutiva, infatti, la contrapposizione vero (mondo della natura) falso (mando della civilizzazione europea) sembra non avere più senso, se non da una punto di vista astratto e, quindi, unilaterale”. Questo passaggio è sicuramente dialettico ma di una dialettica in cui il momento del divenire non fa mai la sua apparizione, è un necessario proseguire verso l'oltre, in cui la contraddizione non si risolve. Una dialettica che sembra somigliare più a quella negativa adorniana, che positiva hegeliana. Perché un presupposto della dialettica hegeliana è lo sviluppo qualitativamente inteso, aspetto che nella storia di Malick non ha luogo, ma la storia incessantemente prosegue il suo cammino, lontana da un'idea illuministica di progresso, ma dispiega unicamente come "necessario proseguire verso l'oltre".
Allora possiamo definire "hegeliano" il panteismo di Malick New World? Io direi assolutamente di no. Malick mette in scena il contrasto irrimediabile tra natura e civiltà che si manifesta in tutta la sua dirompente forza nella scena in cui un indiano “gironzola” sorpreso in un giardino all'italiana di una villa nobiliare inglese. Solo questa scena meriterebbe un oscar.

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