Saturday, April 01, 2006

TransAmerica - Le relazioni difficili

Il Film di Duncan Tucker non è, come si potrebbe facilmente dedurre, unicamente concentrato sulla trasformazione di Bree, transessuale di Los Angeles, persona di una gentilezza e delicatezza di altri tempi, ma è un'opera che scava dentro alla possibilità dell'individuo di relazionarsi. Prima di tutto la relazione con se stessi. In una scena, che da sola vale il prezzo del biglietto, si rappresenta esattamente la situazione emotiva che caratterizza la vita di Bree. La sua operazione, scopo primario della sua vita, è condizionata dal parere di una psichiatra che è indecisa a determinare se la paziente sia pronta per il grande passo. Allora la "dolce" Bree è irrequieta e ascoltando una brano d'opera in cui un canto metafisico di un soprano leggiadro s'innalza sopra tutte le polveri del mondo, sfiora leggermente il vinile, rallentando la musica e abbassando la tonalità del canto con le sue curate mani da donna, inquadrate in primo piano. Bree è esattamente quel canto rallentato, ancora non soave e leggiadro, ancora fermato da una natura che ha ingabbiato l'animo femminile in un corpo inadatto.
E poi ci sono le relazioni con l'"altro" da sé: prima di tutto la relazione con il figlio (Toby), che Bree ha concepito nel suo passato eterosessuale. Bree, a una settimana dall'operazione che adeguerà l'anagrafe al suo animo, scopre di essere padre di un figlio difficile, ingabbiato nella sofferenza adolescenziale che lo porta a deviare verso la piccola delinquenza e la chiusura verso il mondo esterno. Il processo della loro conoscenza, svolto attraverso un viaggio nell'America di provincia, mostra l'importanza del riconoscimento, necessario affinché la vita di entrambi possa proseguire. Bree non è il mezzo-indiano che Toby sperava di avere come padre, ma rimane per i suoi modi gentili e per il suo animo limpido e chiaro il modello di genitore (padre o madre non importa) che ognuno vorrebbe avere (cosa di cui Toby (e il pubblico) si renderà conto solo alla fine). Allo stesso tempo Toby non sembra essere il figlio modello (almeno per il senso comune): è delinquentello da poco, attore porno, incline alla prostituzione, ma ugualmente Bree ha bisogno di essere riconosciuta come padre e di riconoscersi in suo figlio per poter esistere: abbiamo bisogno degli altri per poter capire noi stessi. Inoltre attraverso Toby, Bree trova il coraggio di presentarsi dalla sua famiglia, che osteggia e non riconosce la sua trasformazione (paradigmatica è la figura della madre, della cui personalità devastante rimangono tracce indelebili, come ad esempio l'alcolismo della sorella "normale" di Bree).
In secondo luogo c'è il rapporto con il "mondo" possibile degli altri. Molto bello è il legame, assolutamente "platonico" e delicato che Bree costruisce con un indiano, conosciuto per caso, che non osa spingersi al di là di qualche frase sincera e qualche dolce canzone accennata con la chitarra nelle fresche sere del deserto californiano.
In conclusione il film ha un andamento lineare e senza eccessi, senza mai mostrare giudizi morali (nè su Bree, nè sulle scelte di Toby), mostrando con equilibrio e coraggio la nostra società, in cui la necessità di costruire la propria personalità, il più corrispondente possibile al nostro animo interno, sia un processo difficile, ma allo stesso tempo imprescindibile.

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